Audioguida della Villa medicea di Poggio a Caiano

1. Introduzione (da ascoltare passeggiando, avvicinandosi alla Villa)

Benvenuti alla Villa Medicea di Poggio a Caiano, iscritta nel 2013 nella lista dei patrimoni dell’umanità UNESCO come parte del sito seriale “Ville e giardini medicei in Toscana”, che comprende 14 ville e giardini appartenuti alla famiglia Medici dislocati sul territorio della regione Toscana che rappresentano esempi eccellenti della villa aristocratica di campagna dedicata al tempo libero, alle arti e alla conoscenza.

Fu Lorenzo il Magnifico a volere l’edificazione, in questo luogo, di una residenza che avesse caratteristiche architettoniche all’avanguardia e che potessero essere espressione diretta delle novità del pensiero rinascimentale. Nella villa che abbiamo di fronte emerge un nuovo modo di intendere la residenza di campagna: non stretta nelle proprie mura, ma aperta verso il paesaggio, in costante dialogo con la natura circostante. Anche a questo fine l’edificio è rialzato su una sorta di podio porticato ed è costruito da due volumi raccordati al centro da un volume più corto, così da sembrare, visto dall’alto, la lettera H: questa forma particolare permette una insolita apertura verso l’esterno, sottolineata anche dalla terrazza del primo piano che gira tutto intorno al perimetro, permettendo al visitatore di ammirare lo spazio circostante a 360°. Viene contemporaneamente soppresso il cortile interno, dal quale generalmente le residenze precedenti ricevevano in passato la maggior parte della luce esterna, sostituito al piano nobile da un monumentale salone di rappresentanza, dedicato all’esaltazione della dinastia medicea.
Il progetto fu affidato a Giuliano da Sangallo, che fuse l’armonia rinascimentale e il lessico classico con forme e funzionalità tipiche dell’architettura rurale toscana. I lavori presero il via negli anni Ottanta del Quattrocento, sotto l’occhio vigile dello stesso Lorenzo, che veniva ad alloggiare di fronte al cantiere per controllarne i progressi, ma che venne a mancare prima che la villa fosse completata. Dopo la sua morte nel 1492 e la successiva cacciata dei Medici da Firenze nel 1494, il cantiere fu sospeso e riprese solo dopo il ritorno della famiglia a Firenze nel 1512. A dare l’impulso al completamento dell’edificio fu il figlio di Lorenzo, Giovanni, meglio conosciuto come Papa Leone X.
Nel 1737, dopo l’estinzione della dinastia medicea, la villa passò agli Asburgo-Lorena, nuovi Granduchi di Toscana, e, all’inizio dell’Ottocento risiedette qui prima Maria Luigia di Borbone, reggente del Regno napoleonico d’Etruria, e poi Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte. Tra il 1865 e il 1871 il re Vittorio Emanuele II la scelse tra le sue residenze extraurbane mentre Firenze era capitale del Regno d’Italia. Visitando le sale della residenza, possiamo quindi incontrare arredi ed opere risalenti a diversi periodi storici e ci accorgiamo di come l’aura rinascimentale si possa respirare pienamente all’esterno, dov’è esaltata dall’architettura dell’edificio, mentre all’interno le influenze dei secoli successivi hanno portato in buona parte a notevoli cambiamenti dell’arredamento e delle decorazioni.
La villa è di proprietà statale dal 1919. Dal 2007, il secondo piano è dedicato al Museo della Natura Morta: oltre 200 opere distribuite su 16 sale danno vita a questa collezione dedicata alle nature morte e a vari dipinti di soggetto naturalistico appartenuti alla famiglia Medici e provenienti dalle collezioni delle Gallerie Fiorentine.

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2. La facciata

Osservando la facciata della villa sono due gli aspetti architettonici che colpiscono maggiormente. Partendo dall’alto, l’occhio cade sul frontone triangolare, di chiara ispirazione classica, il cui fregio in terracotta invetriata è ricco di simbologie.

Quello che stiamo osservando è una copia novecentesca della Manifattura Richard Ginori: l’originale è conservato all’interno, nella sala ad esso dedicata. L’opera, attribuita a Bertoldo di Giovanni e collaboratori, è databile intorno al 1490 ed è una delle poche della villa ad essere stata probabilmente commissionata da Lorenzo de’ Medici: con la sua iconografia complessa e ricca di riferimenti, non ancora completamente decifrati, si inserisce a pieno nel clima culturale dell’ambiente del Magnifico. La tecnica della terracotta invetriata era moderna per il Quattrocento ed è tipicamente Toscana.
Il secondo elemento di grande impatto visivo è il porticato, scavalcato dalle due ampie scalinate ricurve che consentono l’accesso al livello superiore. La scalinata è l’unico elemento strutturale della villa che è stato modificato drasticamente nel corso del tempo. A partire dal 1599 il pittore Giusto Utens rappresentò tutte le ville medicee in una serie di lunette destinate ad una sala della Villa “La Ferdinanda” di Artimino. Facendo un confronto con la lunetta rappresentante la Villa di Poggio a Caiano, ci accorgiamo di una differenza molto rilevante: le due scalinate in origine erano dritte e non curve come le vediamo oggi. Sebbene si possa pensare che la modifica sia stata effettuata per una questione estetica, visto che le scale odierne donano maggiore dinamicità alla facciata, la motivazione è decisamente più pratica. Nel 1807 infatti si sostituirono le scalinate per realizzare una loggia che fosse abbastanza profonda da permettere il passaggio di una carrozza. L’intervento fu realizzato da Pasquale Poccianti, uno dei più importanti architetti neoclassici toscani. In questo modo, anche in caso di pioggia, era possibile un accesso protetto alla villa. Altri cambiamenti importanti si sono succeduti nel corso del tempo, modificando l’aspetto esterno dell’edificio: la mostra dell’orologio, che si erge fiera in cima alla facciata, non era prevista in origine, ma è un’aggiunta del XVIII secolo; le finestre erano “crociate”, ovvero divise in quattro da una croce in pietra serena; i pilastri erano in bugnato, ovvero rivestiti da blocchi di pietra sovrapposti sbozzati ma non rifiniti. Non perdete nella Sala del Fregio, al primo piano della Villa, il modellino che ne ricostruisce l’aspetto originario.
Segnaliamo infine che in tempi recenti, all’ombra del grande porticato, sono stati posizionati quattro sarcofagi romani in marmo risalenti al II-III secolo d.C. circa: i vari fori che in parte danneggiano le decorazioni mostrano che furono riadattati come vasche per le fontane che abbellivano il Parco della Villa.

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3. Le cucine e il torrino della Pallacorda

Inizialmente la villa era dotata di diversi locali adibiti a uso di cucine, dislocati al pian terreno e al secondo piano.

Per questioni di comodità tuttavia, nel 1614, Cosimo II ordinò la realizzazione di un unico grande complesso esterno, collegato alla villa da una galleria sotterranea lunga 35 metri, detta il “passo delle vivande”, affinché i cibi non si raffreddassero.

Il giovanissimo signore, divenuto granduca a soli 19 anni, era solito circondarsi di una corte molto numerosa e, insieme a sua moglie Maria Maddalena d’Austria, usava dare ricevimenti ed amava la vita mondana: l’unica grande cucina, oggi detta anche “cucinone”, avrebbe dunque favorito la preparazione dei banchetti. La sua collocazione in un edificio separato preservava la Villa dal rischio di incendi, dai suoi cattivi odori, ed era considerata preferibile anche per motivi di decoro. Esisteva inoltre un’altra cucina distinta, per la servitù.
La struttura rettangolare è molto vasta e si sviluppa su due piani, ma sembra molto più piccola rispetto all’edificio principale poiché, essendo leggermente affossata rispetto al piano su cui si erge la villa, rimane seminascosta allo sguardo del visitatore da un muretto di cinta. Lo stretto e lungo cortile centrale era usato per la macellazione e per tutte le attività culinarie che era preferibile svolgere all’aperto. Il “Cucinone” fu essenziale per la vita quotidiana della corte granducale e rimasero attive fino all’Ottocento. L’interno non è visitabile per motivi di sicurezza.
Un altro luogo che merita di essere citato è il Torrino della Pallacorda, che potete vedere alla destra del “Cucinone”. All’interno di una delle torrette-baluardi delle mura, si trova infatti il luogo in cui si praticava uno sport, la Pallacorda appunto, simile all’odierno tennis. Ad oggi questo ambiente è usato come deposito.

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4. Il parco (1)

L’area verde protetta dalle mura di cinta della villa si divide in due sezioni: il giardino ed il bosco. Ciò che possiamo vedere oggi è però molto diverso da come appariva cinque secoli fa.

Il progetto originario prevedeva un giardino all’italiana a destra dell’edificio, attorniato da aree boschive e zone sterrate. Dobbiamo infatti immaginare il parco della villa come una prima sezione dell’enorme tenuta agricola che si estendeva subito oltre il torrente Ombrone, attorno alla fattoria medicea, sui terreni oggi occupati in buona parte dal parco delle Cascine di Tavola, nel comune di Prato. Dalla fine del Quattrocento all’inizio dell’Ottocento la cascina fu attiva e produttiva: ampi orti e frutteti garantivano il sostentamento della corte, ma le produzioni non si limitavano all’agricoltura. L’allevamento di bovini garantiva la produzione di formaggi e l’apicoltura quella di miele, mentre un vivaio ittico permetteva di avere sempre pesce fresco. La fattoria medicea fu un polo agro-scientifico all’avanguardia, dove si sperimentarono nuove forme di coltura ed allevamento, fra cui risaie e bachi da seta.
Tornando all’interno della cinta muraria, oggi possiamo vedere un’area verde modificata soprattutto a partire dal Settecento.
Oggi camminiamo in un giardino dominato da aiuole di fiori stagionali, una piccola ma notevole collezione di rose ed alcuni alberi ad alto fusto di grande rilievo, come ad esempio i due cedri del Libano che possiamo ammirare davanti al cancello di ingresso. La zona a destra della villa è stata pensata nell’assetto odierno intorno al 1820 ed è caratterizzata da sentieri, siepi, e, nella bella stagione, da moltissime piante di agrumi, conservati in inverno nella grande Limonaia. L’area boschiva all’inglese sul retro della Villa, che si estende fino al fiume Ombrone, presenta vialetti curvilinei, una flora molto variegata che dà l’impressione di trovarsi in un luogo incontaminato e alcuni alberi secolari, in particolare querce, un cerro di dimensioni davvero notevoli ed una sequoia. A rendere ancora più interessante il parco sono infine il boschetto di bambù e la grande quinta scenografica con dipinti murali neogotici, di fronte alla quale svetta il raro e imponente Noce nero mediceo, dichiarato albero monumentale.

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5. La Limonaia

Il secondo principale edificio che attira l’attenzione è la grande Limonaia, situata a destra della villa. Questo “stanzone degli agrumi”, come fu denominato nell’Ottocento, venne progettato dall’architetto neoclassico Pasquale Poccianti nel 1825.

Sebbene risalga a soli due secoli fa e non sia quindi un’eredità medicea, aveva lo scopo di proteggere dal freddo gli agrumi, in particolare i limoni, amati e collezionati in tutta la Toscana proprio dalla famiglia granducale. Come possiamo scoprire in uno degli affreschi del Salone di Leone X all’interno della villa, i Medici vedevano nei limoni uno dei propri simboli, probabile allusione ai pomi d’oro del mito di Ercole, l’eroe per eccellenza, per la sua forza e la sua intelligenza. Nella villa di Castello, a Firenze, è ancora conservata la collezione di agrumi iniziata nel XVI secolo da Cosimo I. Nel Museo della Natura Morta al secondo piano della Villa sono esposti quattro grandi dipinti settecenteschi, opera di Bartolomeo Bimbi, raffiguranti innumerevoli varietà di agrumi che facevano parte delle collezioni medicee, in parte oggi individuabili anche tra queste piante.

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6. Il parco (2)

L’ampia area boschiva sul resto della Villa era chiamata “fagianaia”, perché adibita alla caccia dei fagiani.

Fu ampliata dalla fine del Settecento, ma i più importanti cambiamenti arrivarono nell’Ottocento, quando venne deviata la strada per Prato e fu raddrizzato il corso del torrente Ombrone: due modifiche radicali che portarono all’estensione del Parco e all’unificazione di alcune sue zone prima separate. È ottocentesco anche il giardino all’inglese situato nell’area dietro alla villa che arriva fino al fiume Ombrone.
Nel giardino all’inglese troviamo poi altri edifici, come la ghiacciaia, usata per tenere il ghiaccio utile per la conservazione e la fruizione dei cibi, e la pittoresca quinta scenografica con dipinti neogotici.

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7. La statua di Ambra e Ombrone

Fra le opere che decorano il parco della villa vi è il complesso scultoreo ottocentesco in terracotta rappresentante la leggenda di Ambra e Ombrone.

La Villa di Poggio a Caiano viene spesso chiamata erroneamente “Ambra”: questo era il nome del colle su cui si erge la villa -a volte utilizzato anche per indicare un edificio preesistente- circondato dall’ansa del fiume Ombrone. Ad esso si ispirò Lorenzo il Magnifico per un poemetto, mentre soggiornava a Poggio a Caiano per seguire il cantiere della sua villa. “In guisa allor di piccola isoletta Ombrone, amante superbo Ambra cinge”, scrive il Magnifico per narrare l’amore tra il fiume Ombrone e questo luogo, che nella poesia è personificato come una ninfa.
Si narra che il vecchio fiume Ombrone vide la bellissima ninfa Ambra che danzava alla luce della luna, e se ne innamorò. Votata alla castità, la ninfa fuggì e quando era prossima all’essere raggiunta dallo spasimante, chiese aiuto alla dea Diana, la quale la trasformò in un’isoletta di roccia in mezzo al fiume. Ombrone, piangendo, iniziò ad avvolgerla con le sue acque e a consumarne la roccia, giorno dopo giorno, con i suoi fluidi abbracci. Ecco dunque, la statua raffigura il punto culminante del mito narrato da Lorenzo: Ombrone è colto nell’atto di catturare Ambra cingendola con le sue braccia, mentre lei inizia a trasformarsi in roccia a partire dai piedi grazie all’intervento della dea Diana che sopraggiunge da sinistra, raffigurata come cacciatrice con la faretra e accompagnata da un cane.

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8. Oltre le mura: Cascine di Tavola, Scuderie e Palazzina reale

Una volta terminata la visita alla villa, possiamo scoprire alcuni altri luoghi ad essa legati, ma situati all’esterno del muro di cinta.

Lungo la discesa del colmo, il piccolo colle sulla cui sommità è situato l’edificio, possiamo trovare la Palazzina Reale, oggi sede del municipio. Questo edificio era in origine l’abitazione del manutentore del giardino della residenza medicea: una casa di pregio, sui cui soffitti ancora oggi sono visibili alcuni affreschi. Il locale più interessante dell’edificio è quello che dal 2005 è divenuto il salone consiliare: la cosiddetta Sala della Giostra, che può essere vista dall’esterno dal giardino davanti alla Limonaia. Al centro del grande salone quadrangolare è ancora visibile, coperto da un vetro sul pavimento, il perno su cui girava una giostra con cavallini di legno, eretta al tempo di Ferdinando III di Lorena insieme ad un’altalena e ad una giostra degli asini per creare una sorta di piccolo “parco divertimenti” nel giardino della villa, che nella bella stagione veniva utilizzata all’aperto.
Affacciandosi dal muretto sul fianco destro della Limonaia troviamo le Scuderie Medicee: non solo semplici stalle per i cavalli, ma una complessa struttura progettata da Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, per accogliere anche i cavalieri al piano superiore. Oggi l’edificio ospita la biblioteca comunale Francesco Inverni ed il Museo Ardengo Soffici e del Novecento Italiano.
Nel 1919 la villa venne donata dai Savoia allo Stato italiano e nel 1984 divenne museo nazionale. Tutte le proprietà al di fuori della cinta muraria furono invece state divise fra diversi enti e associazioni. Oltre a quelle già citate, è importante citare, sulla sponda opposta dell’Ombrone, la Fattoria medicea delle Cascine di Tavola, oggi in attesa di restauro, che in origine fu il centro nevralgico di una produzione agricola ampia e all’avanguardia, voluta da Lorenzo il Magnifico prima della Villa e costruita a partire dal 1477.

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PIANO TERRA

1. Il teatro di Margherita d’Orleans

Benvenuti all’interno della Villa medicea di Poggio a Caiano, dove è possibile passeggiare attraverso la storia: la decorazione interna, infatti, non ha solo mantenuto le caratteristiche originarie rinascimentali, ma ha seguito, soprattutto per le decorazioni murali e gli arredi, gli stili dettati dalle diverse epoche e dai desideri di chi l’ha abitata nel corso dei secoli.

Un esempio eclatante lo vediamo già comparando la sala d’ingresso con quella in cui ci troviamo. Entrando, abbiamo potuto notare come le volte della prima stanza e quelle del portico antistante siano state decorate nella seconda metà dell’Ottocento con motivi neorinascimentali e nature morte a monocromo che rappresentano trofei di caccia. Queste ultime sono un chiaro riferimento alla passione per tale passatempo di Vittorio Emanuele II, sotto il cui regno questa parte della villa ha subito un restauro da parte dell’architetto piemontese Antonio Sailer, come è anche ricordato su un’iscrizione posta sopra la porta di ingresso.
La sala in cui ci troviamo, invece, è un luogo che non ci si aspetterebbe di trovare all’interno di una residenza: un teatro. Fu Marguerite Louise d’Orléans, moglie di Cosimo III, a volere un ambiente dedicato all’arte scenica e alla musica. Dal 1672 la nobildonna francese, a causa del cattivo rapporto con il marito, preferì passare il proprio tempo a Poggio a Caiano anziché a Palazzo Pitti. Per allietarsi nelle oziose giornate trascorse nella villa, fece quindi allestire il cosiddetto “Teatro delle commedie”, dove gli artisti si potevano esibire per lei ed i suoi ospiti. Il teatro fu molto attivo anche negli anni successivi, quando Ferdinando, figlio di Marguerite ed erede al Granducato, scelse la villa come residenza estiva.
Per sessant’anni questo locale non fu utilizzato: dal 1713, anno della morte di Ferdinando, al 1772, quando Pietro Leopoldo ne ordinò il restauro. All’inizio dell’Ottocento, Maria Luisa di Borbone preferì utilizzare per le rappresentazioni un allestimento teatrale mobile nel Salone di Leone X al primo piano. Fu Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte, a restituire gloria al teatrino della villa, facendo anche dipingere il sipario, tutt’oggi visibile, su cui il pittore pratese Luigi Catani ha rappresentato gli dèi Apollo e Minerva. Lo stemma dei Savoia alla base del palcoscenico è anche un pannello scorrevole per accedere alla buca del suggeritore.
L’organo positivo (ovvero portatile) qui esposto è un originale del 1703, opera di Lorenzo Testa; faceva parte di una ricca collezione di strumenti musicali, di cui oggi restano pochissimi pezzi.

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2. La Sala dei biliardi

Passando dal teatro alla sala dei biliardi, torniamo nuovamente in un ambiente decorato in epoca sabauda. Questa stanza da gioco, oltre che per i due grandi biliardi ottocenteschi, è interessante per l’ariosa decorazione del soffitto, raffigurante un finto pergolato che sfonda illusionisticamente il soffitto.

La tenda rossa con lo stemma dei Savoia dipinta sopra il portone verso l’esterno, sollevata in alto dal vento, crea un interessante raccordo con quella realmente presente, così da unire il finto spazio aperto del soffitto con quello reale e con il parco della villa. A realizzare quest’opera, nel 1865, fu il pittore e scenografo torinese Domenico Ferri, che si occupava degli allestimenti delle nuove residenze di corte di Vittorio Emanuele II. In questo ambiente dedicato allo svago e al divertimento, notiamo nell’angolo in fondo a destra la presenza di tutto l’occorrente per il gioco del biliardo – stecche e segnapunti originali – e, a sinistra, un tavolo da gioco che funzionava grazie a una trottola e dei birilli, risalente anch’esso alla seconda metà del XIX secolo, predecessore del moderno flipper.

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3. Gli appartamenti di Bianca Cappello

La Villa di Poggio a Caiano ha ospitato molte nobildonne promesse spose dei giovani signori di Firenze.

Soggiornarono qui, per ricevere l’omaggio della nobiltà fiorentina, la moglie di Francesco I, Giovanna d’Austria, e la moglie di Ferdinando I, Cristina di Lorena; la villa vide anche i festeggiamenti in occasione dei matrimoni di Alessandro de’ Medici con Margherita d’Austria e di Cosimo I con Eleonora di Toledo.
L’unione più celebre e commentata fu però quella tra Francesco I e la veneziana Bianca Cappello: dopo essere stati amanti, convolarono a nozze nel 1579 dopo la morte dei rispettivi consorti e a loro volta morirono proprio in questa villa, a poche ore di distanza, tra il 19 e il 20 ottobre 1587, in circostanze ad oggi ancora non chiare, per malaria o come alcuni dicono fatti avvelenare dal fratello di Francesco I°, il futuro granduca Ferdinando I.
Di sicuro Ferdinando, dopo la morte di Francesco e Bianca, si impegnò a far dimenticare il nome della gentildonna veneziana al punto di far cancellare lo stemma della sua famiglia dagli arazzi appesi sui muri della Villa. Non è neanche noto il suo luogo di sepoltura. Bianca Cappello fu forse l’unica signora della Villa che scelse di risiedere al piano terreno, anziché al piano nobile. Nella stanza in cui ci troviamo, la prima di quelli che furono i suoi appartamenti, possiamo ammirare quattro interessanti dipinti: Mosè e il roveto ardente, il passaggio nel Mar Rosso e la resurrezione di Lazzaro, attribuiti al celebre pittore veneziano del Cinquecento Paolo Veronese o alla sua bottega. Queste opere non provengono dagli ambienti della Villa, a differenza della quarta opera esposta nella sala, la Deposizione di Cristo tra i santi Cosma e Damiano, eseguita da Giorgio Vasari come pala d’altare per la cappella della Villa, attualmente non visibile e posta nel torrino a destra dell’ingresso principale al Parco.
Nell’anticamera, la sala subito successiva, possiamo notare un elemento architettonico molto curioso: si tratta di una scala pensile sospesa, che consentiva un collegamento interno e più discreto con l’appartamento al piano superiore, dove risiedeva Francesco. Altro notevole elemento cinquecentesco, di fronte alla scala, è il bel camino in marmo caratterizzato da due possenti telamoni.

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PRIMO PIANO

4. Il piano nobile (scalone monumentale, camera da campo e salone di ricevimento)

Siamo saliti al piano nobile della villa grazie allo scalone monumentale. Questa imponente scalinata non faceva parte del progetto originario, ma venne aggiunta nell’Ottocento.

La villa originariamente aveva due coppie di scale parallele, sia all’esterno, sia all’intero, oggi questa simmetria è rotta, a favore però di una maggiore monumentalità e varietà architettonica.
Lo scalone monumentale è ricavato sacrificando in una parte l’appartamento situato all’angolo ovest: il fiore all’occhiello di questi ambienti è la camera da campo di Vittorio Emanuele II, subito a sinistra appena saliti al primo piano. Si tratta di una vera e propria stanza da letto ripiegabile e trasportabile, che il re Vittorio Emanuele II acquistò all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861. Le dimensioni dei mobili esposti (un letto, un comodino, una toilette, una scrivania e due sedie) possono essere ridotte grazie alle gambe telescopiche, per essere inseriti dentro al letto che a sua volta può ridurre le sue dimensioni assumendo una forma cubica, per facilitarne il trasporto e l’allestimento nella tenda del sovrano durante gli spostamenti bellici.
Al piano nobile, i quattro angoli dell’edificio erano adibiti ad appartamenti; in particolare, quelli sul lato opposto a quello della facciata erano riservati ai signori della villa: a destra, nell’angolo Est, il Granduca o il Re e a sinistra, nell’angolo Nord, le Granduchesse. I quattro appartamenti angolari sono separati a due a due, nel primo caso dal salone di ricevimento e nel secondo caso dalla sala da pranzo; al centro, è situato il Salone di Leone X, fulcro della villa. I mobili che vedremo in tutti questi ambienti furono qui collocati per la maggior parte in epoca sabauda e sono eterogenei per epoca e origine: provengono infatti dalle regge del periodo preunitario – ad esempio da Colorno, Reggia del Ducato di Parma, da Piacenza, da Torino – e furono portati dai re Savoia per arredare le dimore reali di Firenze e, dopo lo spostamento definitivo della capitale, di Roma.
La stanza in cui ci troviamo adesso è il Salone di ricevimento. Fra le decorazioni di questa sala è da evidenziare, sulla destra, l’opera del pittore neoclassico pratese Luigi Catani in cui è raffigurato Lorenzo il Magnifico mentre riceve il modello della villa dall’architetto Giuliano da Sangallo. Sulla parete opposta, lo stesso artista ha rappresentato il poeta Agnolo Poliziano che incorona il busto di Omero accompagnato dalla ninfa Ambra, mentre sullo sfondo riposa Ombrone. Entrambe queste opere vogliono celebrare la fondazione della villa, richiamando la sua origine mitologica, fittizia, e quella architettonica e progettuale. Questi affreschi a monocromo, realizzati all’inizio dell’Ottocento, erano stati successivamente coperti con della stoffa, secondo la moda del periodo sabaudo, e vi erano stati appesi i ritratti della famiglia Medici. I dipinti murali sono tornati alla luce grazie a un restauro novecentesco.

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5. Il Salone Leone X

Poniamoci al centro dell’ambiente e guardiamoci intorno: siamo nel Salone di Leone X, il cuore della villa medicea. Situato esattamente nel nucleo dell’edificio, è la sala che più di ogni altra rappresenta il nuovo concetto di dimora rinascimentale.

Essa sostituisce il consueto cortile, da cui le residenze medievali ricavavano la maggior parte dell’illuminazione per le loro sale interne, a fronte di aperture verso l’esterno ridotte, come nei castelli. Qui al contrario troviamo un ampio spazio interno, ma luminoso e aperto a 360° verso l’ambiente circostante. Avvicinandosi alle aperture o uscendo sulla terrazza che circonda il primo piano, direttamente accessibile dal Salone grazie alla geniale pianta a forma di “H”, la vista può distendersi liberamente sul paesaggio circostante, mentre dal loggiato che circonda il piano terreno della Villa di Poggio a Caiano la natura circostante è inquadrata prospetticamente, come avviene in pittura nei dipinti della stessa epoca laurenziana. Da qui si può ben percepire come la Villa costituisca un esempio concreto dell’aspirazione umanistica di un’opera ordinatrice dell’uomo sulla natura.
Il nome del salone si deve a Giovanni di Lorenzo de’ Medici, passato alla storia come Papa Leone X, che diede incarico a tre grandi pittori – il Franciabigio, Andrea del Sarto e il Pontormo – di realizzare la decorazione muraria della sala intorno al 1520. Dopo la morte del pontefice, le parti non ancora dipinte rimasero prive di decorazione per circa 60 anni, quando vennero terminate e unificate grazie all’intervento di Alessandro Allori, su commissione di Francesco I. In alto, la sala è chiusa da una volta a botte completata sotto Leone X e realizzata a stucco policromo e dorato con raffigurati gli emblemi della famiglia Medici; in particolare, al centro del soffitto, domina lo stemma con le palle rosse e blu su fondo oro e sopra due chiavi “decussate” (ovvero incrociate), una d’oro e una d’argento, simbolo del papato.
Il ciclo di affreschi che decora ogni parete è una vera e propria celebrazione della famiglia Medici, compiuta attraverso un uso metaforico di episodi della storia antica.
Fra le scene più significative sottolineiamo la lunetta in alto sulla destra (entrando), capolavoro del Pontormo nel quale sono rappresentati Vertumno e Pomona, due divinità agresti: quest’opera interpreta attraverso complesse allegorie gli ideali di Lorenzo Il Magnifico, per il quale la campagna non era solo un luogo di riposo fuori dalla città, ma rappresentava anche il fulcro di una vasta area dove la sperimentazione di nuove tecniche agricole ed il rapporto con la natura erano di primaria importanza. Il dipinto allude inoltre -tramite il troncone d’alloro reciso, da cui nascono nuove fronde- all’avvicendamento dinastico della famiglia Medici, con l’augurio che i nuovi rami dell’albero genealogico, dopo quello interrotto di Lorenzo, potessero crescere in maniera rigogliosa.
Allo stesso Lorenzo si allude nel riquadro a sinistra sulla parte di ingresso, opera di Andrea del Sarto e Alessandro Allori, che raffigura il Tributo a Cesare, ma vuole richiamare i doni ricevuti da lui nel 1487 dal Sultano d’Egitto. Ancora al Magnifico rimanda la scena posta di fronte, interamente dipinta da Alessandro Allori, in cui Siface, re di Numidia, riceve Scipione: qui il richiamo è al viaggio che il Magnifico fece a Napoli per incontrare il re Ferdinando d’Aragona.
L’indole politica di Lorenzo è poi esaltata nel riquadro a destra sulla parete di ingresso, dove Alessandro Allori ha raffigurato il Console Flaminino che parla al consiglio degli Achei: un chiaro riferimento all’intervento di Lorenzo presso la Dieta di Cremona. Per concludere, di fronte, il Franciabiglio e l’Allori hanno affrescato il ritorno di Cicerone dall’esilio, a ricordo delle tre cacciate dei Medici da Firenze, conclusesi sempre con un rientro in patria, con allusione in particolare al ritorno di Cosimo il Vecchio nel 1434. La decorazione è completata, sempre dall’Allori, con l’altra lunetta sulla sinistra raffigurante Ercole nel giardino delle Esperidi e con varie Allegorie delle Virtù.

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6. La  Sala da pranzo e gli appartamenti principali

Superato il Salone di Leone X ci troviamo nella cosiddetta “Sala dei pranzi”, speculare al Salone dei ricevimenti da cui siamo precedentemente passati. Qui la protagonista è la volta, sulla quale ammiriamo l’Apoteosi di Cosimo il Vecchio di Anton Domenico Gabbiani, realizzato nel 1698.

L’affresco era attorniato da una decorazione barocca, sostituita nel 1865 con quella attuale, sabauda. I quattro ritratti presenti alle pareti sono copie degli originali conservati agli Uffizi: non rappresentano membri della famiglia Medici, ma furono commissionati da Cosimo I per onorare alcuni personaggi illustri quali Camillo del Monte, Filippo II di Spagna, Gaston de Foix e Pier Capponi.
Da questa sala possiamo accedere ai due appartamenti principali, situati agli angoli posteriori della villa. Sulla destra troviamo le quattro stanze riservate ai Granduchi e abitate in ultimo da Vittorio Emanuele II di Savoia, che conferì ad esse l’attuale aspetto e la suddivisione in guardaroba, studio, sala da ricevere e camera da letto; il mobilio presente negli ambienti è -anche in questo caso- di epoche e provenienze diverse. Nella sala del guardaroba è interessante notare, all’interno di un finto armadio, il punto di arrivo della scala pensile cinquecentesca dell’appartamento di Bianca Cappello al primo piano; nella sala da ricevere sono collocati quattro ritratti di epoca medicea di Justus Sustermans, raffiguranti Ferdinando II, Vittoria della Rovere, Maria Luisa d’Austria e Cosimo III.
Dalla parte opposta entriamo invece nell’appartamento riservato alle signore della Villa, il cui aspetto attuale molto deve a Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone, che per un breve periodo, tra il 1809 e il 1814, vantò il titolo di granduchessa di Toscana. Nel salotto il ciclo di affreschi, ancora opera del pittore pratese Luigi Catani, raffigura in vari riquadri Atena, con la quale Elisa si identificava, come promotrice dell’artigianato e del commercio, fautrice di pace e protrettrice delle belle arti. Vi sono inoltre raffigurati Perseo e Andromaca.
La stanza che attira maggiormente l’attenzione è il bagno: voluto da Elisa Baciocchi, è un ambiente neoclassico raffinato per la qualità delle decorazioni e di estrema modernità per i tempi, vista la presenza di una vasca dotata di un sistema con acqua calda e fredda. Gli affreschi richiamano la mitologia classica e in particolare, dato il luogo, l’acqua. Vi sono raffigurati Achille e sua madre Teti, che -nella lunetta ben visibile di fronte alla porta di accesso- immerge il figlio nel fiume Lete; nella lunetta sul lato opposto invece assiste sconsolata, in riva al mare, alla sua partenza per la guerra. Di fronte al bagno vi è la camera da letto, dove l’affresco neoclassico sul soffitto è stato in parte occultato in epoca sabauda con del tulle rosa, che, insieme alle pareti coperte con un tessuto a fiori dello stesso colore, rende onore al nome della “bella Rosina”, ovvero Rosa Vercellana, figlia di un guardiacaccia di Vittorio Emanuele II e sua amante prima di divenirne moglie morganatica con il titolo di Contessa di Mirafiori.

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7. La Sala del fregio

La principale decorazione della facciata della villa è il lungo fregio in terracotta invetriata policroma, che colpisce il visitatore se alza gli occhi verso il frontone.

Quello che vediamo oggi all’esterno è una copia realizzata dalla manifattura Richard Ginori, mentre l’originale, opera di Bertoldo di Giovanni e collaboratori, è esposto in questa sala dal 1992. Il fregio, probabilmente una delle poche opere che furono commissionate da Lorenzo de’ Medici, è diviso in cinque sezioni, dedicate ciascuna ad un soggetto differente. Sono allegorie derivate dalla mitologia classica, collegate secondo profondi richiami che oggi non siamo stati ancora in grado di decifrare con sicurezza, soprattutto nel loro significato complessivo. Il ciclo comincia con l’allegoria dell’Eternità o della nascita delle anime, seguita dal mito della nascita di Giove. Prosegue con Giano bifronte, che annuncia l’arrivo del nuovo anno, con le allegorie delle quattro stagioni e dei dodici mesi. Infine, si conclude con il destino dell’anima dopo la morte, oppure con Aurora che prepara il carro di Apollo.
Strettamente legato alla nobiltà fiorentina è poi l’albero genealogico esposto al lato opposto della sala. In questa copia di un dipinto della seconda metà del Seicento, una grande quercia rappresenta la stirpe dei Medici: sui rami vediamo ben 781 nomi, corrispondenti a circa 18 generazioni che si sono succedute dal XII al XVIII secolo.
A fianco di quest’opera, possiamo vedere il modello in legno della villa, che ricostruisce l’originale aspetto della Villa. Possiamo notare, rispetto all’aspetto attuale dell’edificio, l’innalzamento al centro della facciata del torrino dell’orologio, e la radicale modifica delle due scalinate, che nel progetto originale erano perpendicolari all’edificio, secondo una ricerca di ordine e simmetria, e che nel 1807 sono state sostituite con una doppia rampa semicircolare, che al contrario ne accentua il senso del movimento.
Infine, l’arazzo in lana e seta raffigura “La caccia al cigno” e fa parte di una serie di 36 tessuti dedicati alla caccia e realizzati appositamente per la Villa di Poggio a Caiano fra il 1566 e il 1582. Inizialmente tutti gli arazzi dovevano rappresentare delle “uccellagioni”, vista la passione di Lorenzo il Magnifico per questa attività, ma l’idea fu abbandonata a favore di un ampliamento dei soggetti, rappresentando differenti tipi di caccia, secondo il desiderio di Cosimo I. Fu suo figlio, Francesco I, a riprendere l’idea originaria, facendo realizzare quattro arazzi dedicati ad altrettanti tipi di uccellagione, basandosi su cartoni di Alessandro Allori: la “Caccia al cigno” qui esposta, la “Caccia all’oca selvatica” conservata nei depositi di Palazzo Pitti, la “Caccia all’anatra selvatica con le zucche”, di cui rimangono due frammenti conservati a Siena, e la “Caccia all’airone”, oggi dispersa.

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8. La Terrazza

Uscendo dalla villa, vale la pena sostare sulla terrazza prima di scendere le scalinate. Ci troviamo sotto la loggia classica che impreziosisce la facciata, costruita già al tempo di Lorenzo il Magnifico: sopra di noi vi è la volta a botte, decorata a stucco con figure geometriche che contengono gli stemmi medicei, tra cui primeggia al centro l’arme con le palle rosse su fondo oro.

Nella parete destra si trovava un’importante opera ad affresco, commissionata da Lorenzo a Filippino Lippi, con il Sacrificio di Laocoonte: date le cattive condizioni in cui versava, la pittura è stata staccata ed è attualmente in restauro. Sarà poi ricollocata all’interno della Villa. Dallo stacco dell’affresco è emersa la sinopia, anche se in stato assai frammentario. Guardando la facciata possiamo ammirare il timpano classicheggiante, con al centro lo stemma dei Medici, e con il fregio sottostante, copia novecentesca dell’originale all’interno della villa.
Da questo punto sopraelevato, possiamo anche ammirare il panorama attorno a noi e renderci conto della posizione privilegiata dell’edificio rispetto all’area circostante e agli altri edifici del Parco, quali la Limonaia sulla destra della Villa, e il “Cucinone” alla sua sinistra.
Sulle colline a destra notiamo subito la chiesa di San Francesco che svetta sul colle di Bonistallo. Alla sua destra, vediamo la più antica chiesa di Santa Maria Assunta. La Villa poco più a sinistra, detta “Il Cerretino”, fu una delle residenze di Bianca Cappello.
Volgendo lo sguardo oltre la chiesa di Bonistallo, vediamo il maestoso profilo del Montalbano con il borgo di Carmignano. Dalle fonti di questo colle partiva un acquedotto lungo 4 chilometri che portava acqua fresca alla villa. L’acqua si depositava in una grande cisterna chiamata Conserva, dalla quale poi si diramava in diversi piccoli condotti: una parte entrava nella residenza, il resto scendeva verso fonti e abbeveratoi.
Infine, guardandoci intorno, possiamo renderci bene conto di come il perimetro delle mura protegga la residenza, consentendole così di aprirsi allo spazio circostante con terrazze, loggiati e ampie aperture. Si nota in particolare il tratto che collega le due torrette-baluardi, erette a metà del 500 forse su progetto del Tribolo, una delle quali custodisce la cappella sul cui altare si trovava il dipinto di Vasari attualmente custodito all’interno della Villa.

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