Audioguida del Palazzo Mediceo di Seravezza

1. La Versilia Medicea

Benvenuti al Palazzo Mediceo di Seravezza che fa parte del sito Patrimonio Mondiale “Ville e giardini medicei in Toscana”, riconosciuto dall’UNESCO nel 2013, di cui fanno parte 14 ville e giardini appartenuti alla famiglia Medici dislocati sul territorio della regione Toscana che rappresentano esempi eccellenti della villa aristocratica di campagna dedicata al tempo libero, alle arti e alla conoscenza.

La cosiddetta Versilia Storica, ossia gli attuali comuni di Stazzema, Seravezza, Forte dei Marmi e Pietrasanta, divenne un’enclave medicea nel territorio della Repubblica di Lucca il 29 settembre 1513 con il Lodo di Papa Leone X, al secolo Giovanni e secondogenito di Lorenzo De’Medici, che assegnò “Pietrasanta e tutto il suo territorio” a Firenze. I Medici iniziarono quindi a frequentare la zona per controllare gli affari economici derivanti dalla coltivazione delle miniere e dall’escavazione del marmo soggiornando, secondo lo storico locale Vincenzo Santini, nella Rocca di Pietrasanta dove il Duca Cosimo sottoscrisse alcuni atti governativi. La scelta di trasferire la residenza medicea altrove fu dovuta, probabilmente, alla necessità di allontanare la corte nei mesi più caldi dell’anno dalla vicina costa paludosa popolata dalle zanzare anofele, responsabili della diffusione della malaria, mantenendo però la posizione strategica che i confini versiliesi garantivano al Ducato. La scelta ricadde quindi sulla vicina Seravezza dove, in località Capovana, nel 1561 iniziarono i lavori per la costruzione di un Casino. Grazie alla documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Firenze sono note le varie fasi operative del cantiere e il nome delle maestranze impiegate mentre sconosciuto è il nome dell’architetto sebbene dal confronto stilistico con altre architetture medicee la probabile paternità del progetto riconduce a Bartolomeo Ammannati, Bernardo Buontalenti o al più accreditato David Fortini.

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2. La Villa e i suoi proprietari (cenni storici)

Il palazzo presentava una pianta a U con due avamposti angolari e due bracci che si sviluppavano attorno a una corte lastricata chiusa da una parete e da una loggia voltata con colonne doriche.

Il piano terra era costituito da locali voltati, un tempo occupati dalle cucine e dalle stanze della servitù, e da due piccoli ambienti occupati dalle scale di servizio, il primo piano fungeva da piano nobile, il secondo piano da soffitta; la cantina occupava una stanza sotterranea. Il Palazzo di Seravezza rimase dimora granducale fino al 1637, anno in cui Cristina di Lorena divise lo stabile in alloggi per ospitare i magistrati di Pietrasanta e le rispettive famiglie durante i mesi estivi.
Nel 1737, con la fine della dinastia medicea, il Granducato fu assegnato ai Lorena e l’edificio continuò a ospitare i Ministri del Capitanato di Pietrasanta con il rispettivo Tribunale; nel 1792 accolse anche la sede amministrativa della Magona, ente specializzato nella lavorazione e commercializzazione dei minerali. Alla fine del Settecento il Palazzo risultava così suddiviso: alla Magona tre locali del primo piano e il piano terra dove aveva collocato il magazzino del ferro e del legno e ai Ministri le stanze rimanenti e il secondo piano dell’edificio; questa divisione degli spazi causò, probabilmente, la perdita degli arredi originali rimasti.
Nel 1784 il Granduca Pietro Leopoldo donò alla Comunità di Seravezza il Palazzo per “stabilirvi il Pretorio” con il solo obbligo di alloggiarvi il Vicario e il Cancelliere di Pietrasanta durante il periodo estivo, ma i seravezzini, impossibilitati a ricavarne delle rendite, rifiutarono la donazione. Nell’estate 1833 il Palazzo tornò a essere residenza granducale per accogliere le figlie di Leopoldo II e la Granduchessa vedova Maria Ferdinanda durante il periodo delle bagnature in mare: per l’occasione le soglie, le porte e gli stipiti dell’edificio furono sostituiti e il 1 agosto fu ordinata “una illuminazione per la venuta della Real Famiglia”. Una probabile testimonianza del soggiorno versiliese di Maria Ferdinanda è rappresentata da un disegno custodito nell’Archivio di Stato di Praga raffigurante il Palazzo e a lei attribuito. Nella seconda metà dell’Ottocento il Palazzo continuò ad essere utilizzato da diversi enti: dalla Società Filodrammatica, dalla Guardia Nazionale con una stanza destinata a carcere di custodia e dal 1864 dagli uffici di residenza municipale; nel 1918 una sala da ballo con un podio per l’orchestra fu collocata nella stanza maggiore del primo piano.
Attualmente il Palazzo accoglie la Biblioteca Comunale Sirio Giannini, l’Archivio Storico Comunale, l’Antiquarium, la Fondazione Terre Medicee, il Museo del Lavoro e delle Tradizioni Popolari della Versilia Storica e importanti mostre ed eventi culturali. L’area medicea comprende anche il giardino, la cappella e le scuderie oggi adibite a teatro, cinema e spazio espositivo.

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3. L’orientamento di Palazzo Mediceo e il suo giardino

I lavori per la costruzione del Palazzo risultano conclusi nel 1565 quando Cosimo ordinò, all’artista Stoldo Lorenzi, l’epitaffio “COSMVS MED. FLORENTIE ET SENAR DUX II” da posizionare “sopra la porta del Casino di Seravezza di verso l’orto” e oggi visibile sulla facciata posteriore dell’edificio.

La volontà del Duca di collocare il proprio nome su questo lato del palazzo ha spinto alcuni studiosi a ritenere che la facciata principale fosse in origine questa. Osservando la lunetta di Palazzo Mediceo, dipinta dall’artista Giusto Utens nel 1600, è possibile vedere che, a quella data, tale parte di giardino era occupata da un orto murato, due peschiere e selve di castagni; il bosco circostante era sorvegliato da apposite guardie poiché considerato “bandita di caccia” ed era prevista “pena scudi uno d’oro a chi vi mandasse bestie grosse, lira una per le minute, e lire due a chi vi facesse l’erba”. Nel 1562 vi erano stati piantumati 3500 abeti e, nel 1566, peri, frutti da inverno e quattro aranci provenienti da Massa vennero sistemati nel giardino.
Negli anni ’50 del Novecento, con la costruzione delle case popolari sul terreno occupato dal campo di calcio di Seravezza, la Comunità ebbe la necessità di avere una nuova area sportiva: nacque quindi l’idea di trasferire il terreno di gioco nel giardino adiacente al Palazzo, ma la Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Pisa espresse la sua contrarietà a “qualunque modificazione al prato ed alla sua alberatura” data l’importanza storica e monumentale del complesso: nonostante questo il lavori per il completamento del campo da calcio risultano in corso nel 1959. Nel 2009, durante i lavori di risistemazione dell’area medicea il campo da calcio è stato sostituito da un giardino alberato.

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4. Il piano nobile

Con la rinuncia al Granducato Cosimo I affidò la reggenza e l’amministrazione dello stato al primogenito Francesco, mantenendo però, sotto la propria gestione, lo sfruttamento delle cave e delle miniere.

Al figlio concesse varie residenze tra cui “Il Palazzo con la piazza et orto et con tutti li edifitii siti et stanze fabricate per le cave dell’argento poste nel comune di Seravezza” dove Francesco soggiornò più volte con Bianca Cappello per allontanarsi dal malumore dei fiorentini contrari a questa relazione. Del 1577 è la tavola di mistio rosso, conservata in una delle stanze adiacenti alla Sala del Caminetto (o Salone di Cosimo) realizzata dall’artigiano Paolino di Barsotto Finocchi che venne multato per aver consegnato il manufatto rovinato e non terminato.

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5. L’Annunciazione

Il dipinto coglie il momento in cui l’arcangelo Gabriele, a sinistra con in mano i gigli bianchi, appare alla Madonna seduta su un inginocchiatoio per annunciarle la nascita di Gesù.

La scena è ambientata all’interno della camera di Maria, riconoscibile dal letto con baldacchino presente dietro di lei, e sullo sfondo la colomba, simbolo dello Spirito Santo, e un corridoio con volte a botte aperto su un paesaggio. Il dipinto, una tempera su tavola il cui autore è sconosciuto, compare per la prima volta nel 1784 nell’Inventario d’Arredi Sacri, curato dal custode Lorenzo Tanteri, all’interno della cappella del Palazzo dove rimase fino al 1919, anno in cui l’Amministrazione comunale affittò l’edificio alla Società Imes, concessionaria delle vicine cave del monte Costa. L’Annunciazione venne quindi trasferita nella Sala del Consiglio al primo piano di Palazzo Mediceo e il 4 settembre 1920 venne danneggiata dalla caduta di un masso di 200 chili proveniente dalla cava comunale sovrastante in seguito allo scoppio di una mina: il masso cadde “sulla cantonata sud est del fabbricato” sfondando il tetto per circa 6 metri quadrati e il solaio sottostante, rompendo un grosso trave di castagno e frantumando il pavimento della Sala udienza del giudice conciliatore al 1° piano.
La sottostante volta di mattoni reagì all’urto e il masso rimbalzò nella Sala del Consiglio colpendo il
dipinto che venne “danneggiato. Secondo lo storico dell’arte Alessandro Parronchi la paternità del dipinto è riconducibile a un pittore manierista non lontano “dai modi che si riconoscono ai rari dipinti attribuibili al Buontalenti”.

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6. Cristina di Lorena e la trota di Seravezza

Alla morte del Granduca Francesco I, il fratello Ferdinando abbandonò la carriera ecclesiastica per occuparsi degli affari di famiglia, sposò Cristina di Lorena e, durante la Settimana Santa del 1595, soggiornò a Palazzo con un nutrito numero di persone tanto da ordinare, alla Comunità di Pietrasanta che “forniva in parte le masserizie, ben ottanta materasse con altrettante coperte e cento paia di lenzuola”.

Grazie al diario di Cesare Tinghi, aiutante di camera del Granduca, sappiamo che la corte soggiornò saltuariamente a Palazzo Mediceo: il 27 aprile 1603, ad esempio, fu organizzato “un ballo sul prato sotto le finestre del palazzo… per dare un poco di piacere” agli abitanti della zona e memorabile fu la giornata del 3 maggio 1603 quando Cristina di Lorena catturò con la lenza, a Ruosina (Seravezza), “una trota di dimensione spropositate… Cioè misurava quasi 73 cm e pesava oltre 3 kg (9 libbre)”. L’animale, trasformato in un pasticcio dal cuoco di corte, venne inviato a Roma come dono al Cardinal Dal Monte e per ricordare quella pesca così fortunata una statuetta in marmo con le sembianze della trota fu collocata sul luogo della pesca: il cippo di Ruosina, decorato con lo stemma mediceo su un lato e con quello dei Lorena sull’altro, afferma che “La Serenissima Christina Lothorga, granduchessa, prese sotto a questo masso una trota di 13 libbre, l’anno 1603”; il peso dell’animale non corrisponde quindi a quello riportato dal Tinghi. Una copia della statuetta è oggi visibile sul pozzo di Palazzo Mediceo realizzato probabilmente nei primi anni del Seicento.
Col tempo la scultura della trota presente sul pozzo di Palazzo Mediceo è diventata il simbolo di Seravezza tanto da essere vittima delle lotte campanilistiche locali: durante la notte del 1 aprile 1956, infatti, alcuni ragazzi della vicina Querceta scalarono il ballatoio dell’edificio per trafugare la piccola scultura e commettere quello che in Versilia è conosciuto come il Ratto della trota.
Per rispondere a tale affronto alcuni seravezzini meditarono vendetta: qualche tempo dopo due distinti signori visitarono la chiesa di Querceta presentandosi come impiegati delle Belle Arti e con l’inganno si procurarono una copia delle chiavi del campanile. Qualche giorno dopo, a mezzogiorno, le campane si mossero senza emettere alcun suono: erano infatti spariti i batacchi. Dopo lunghe trattative le refurtive furono riconsegnate e la trota riposizionata sul pozzo del Palazzo.

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7. L’Antiquarium

Nel 1967, durante i lavori di svuotamento delle volte tra il soffitto del piano terra e il pavimento della Sala del Caminetto del 1° piano, furono trovate vecchie tubature in terracotta modellate al tornio e diversi orci disposti in file parallele con l’apertura rivolta verso il basso: l’inserimento di materiale leggero all’interno della muratura era una tecnica antica piuttosto frequente nell’edilizia toscana usata per creare volume senza gravare troppo sulle fondamenta di un edificio.

Si tratta, con ogni probabilità, dei “120 coppi p mettere alle voltte” pagati 20 scudi e richiesti nel 1563 come materiale edilizio per il cantiere di Seravezza custoditi dal 2009 nella cantina medicea trasformata in Antiquarium espositivo. Il 18 giugno 2013 la collezione, composta da 81 coppi di manifattura toscana, da 6 esemplari di produzione nordafricana e da 9 frammenti di tubature in terracotta, è stata dichiarata d’interesse culturale.
La teca al centro della stanza conserva, invece, i resti ossei dell’Uomo di Seravezza trovati, il 22 novembre 2002 durante i lavori per l’inserimento dell’ascensore nella torretta est dell’edificio, in una sepoltura terragna vicino alle fondamenta. Dalle ricerche condotte è emerso che i resti ossei appartengono a un uomo tra i 35 e i 40 anni, vissuto tra il 790 e l’anno 1000, con una muscolatura piuttosto evidente che fa pensare a un gran camminatore, che si nutriva prevalentemente di cereali e che ha ricevuto una sepoltura dignitosa data la presenza di una pietra sotto il cranio. Tenendo presente questi dati e considerando la vicinanza del luogo del ritrovamento alla via Francigena, è stato ipotizzato che i resti ossei rinvenuti a Seravezza possano appartenere a un viandante non originario della zona e deceduto improvvisamente durante il cammino.

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8. La Cappella Medicea

Costruita successivamente rispetto a Palazzo Mediceo, la tradizione la vuole edificata al tempo di Cristina di Lorena. Si tratta di un piccolo edificio, tipico del secondo Cinquecento, che lo storico locale Franco Buselli attribuisce per affinità stilistica al Buontalenti.

Da tempo sconsacrata, nel 1919 l’Amministrazione comunale affittò l’edificio alla Società Imes, concessionaria delle vicine cave del monte Costa, per farne una sede operativa: la tela, raffigurante “L’Annunciazione” e presente al suo interno, venne quindi trasferita al primo piano di Palazzo dove si trova tutt’ora. Durante gli anni Sessanta la Cappella ospitò gli spogliatoi per i calciatori del campo da pallone ricavato nel giardino mediceo e successivamente piccole mostre estive; oggi è adibita a caffetteria/punto ristoro a servizio del complesso Mediceo.

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9. Le Scuderie Granducali

La data di costruzione dell’edificio non è nota, tuttavia va compresa tra il 1568 anno, in cui fu redatto il “Campione di Beni di Cosimo I” dove non compare, e la fine del secolo quando invece viene raffigurato nella lunetta del pittore fiammingo Giusto Utens.

Le stalle, a pianta rettangolare con copertura a padiglione, erano arricchite da due portali bugnati in marmo bianco, di recente in parte recuperati, destinati all’ingresso delle carrozze e dei cavalli.
Le planimetrie realizzate nella seconda metà del Settecento rappresentano l’edificio, “detto il Casone o Rimessa”, suddiviso in tre spazi: uno destinato al deposito dei legnami della Magona, ente specializzato nella lavorazione e commercializzazione dei minerali mentre gli altri due utilizzati dal pastore e guardiano del Palazzo. Nel Settecento l’Accademia Dei Costanti realizzò il proprio teatro nella navata lato fiume, apportando diverse modifiche all’edificio originale; nel 1863 per questo spazio il pittore ungherese Andrea Markò realizzò un sipario raffigurante “La disfida di Barletta”. Al termine della prima guerra mondiale, il teatro venne progressivamente abbandonato per essere poi destinato a magazzino e quindi a cinema-teatro fino al 1973. Negli anni ’80 dello scorso secolo l’edificio venne nuovamente abbandonato fino al 2010, quando, in occasione dei lavori di risistemazione dell’area medicea, fu oggetto di un importante intervento di restauro. Oggi ospita uno spazio espositivo e una sala teatrale.

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10. Il Museo del Lavoro e delle Tradizioni Popolari della Versilia storica

Il Museo del lavoro e delle tradizioni popolari della Versilia storica è ospitato dal 1996 al secondo piano del Palazzo Mediceo di Seravezza, occupato un tempo dalle soffitte medicee.

Frutto di anni di ricerca sul campo raccoglie più di duemila oggetti, testimonianza delle principali e tradizionali attività della Versilia Storica. Le sale espositive sono dedicate all’attività marmifera della zona dall’epoca romana fino al Novecento, alle coltivazioni della pianura e a quelle collinari-montane, all’attività minerarie e metallurgiche e alle attività domestiche e alle tradizioni popolari.

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